Premier projet construit, réalisé en courant (trop) dans l’ivresse de la découverte de la gravure (merci éternel Monique Dohy !). Transposition directe de l’événement du moment, la redécouverte enthousiaste d’une amitié d’adolescence restée en sommeil profond plus de vingt ans et qui semblait dérouler sa poésie sans limite perceptible. Chaque image est un souvenir précis – qu’il ait du sens ou pas (mais tous les souvenirs ont un sens). Tâtonnements encore innocents pour transférer mes dessins sur des plaques de diverses manières; du coup je fragilise le vernis et par endroits ça donne un effet involontaire de vernis mou (on distingue les traits de crayon du croquis) et surtout des morsures parasites sans nombre. Le format des plaques est très petit, taille polaroïd, avec toutes les approximations de dessin à la pointe sèche que cela induit. Bref, La Jetée ne vaut donc certes pas par le dessin ni par la technique, mais parce qu’elle témoigne qu’avec la volonté et l’évidence d’une montagne, on peut réussir une amitié. Et puis, l’image 6 porte ma première aquatinte.
« Ils se rencontrent dans un musée plein de bêtes éternelles. »
Et bien entendu le titre renvoie au film de Marker qui résonne curieusement dans les circonstances.
« Il comprit qu’on ne s’évadait pas du temps ».
L’objet (5 exemplaires) se présente en 23+1 gravures format polaroïd dans un boîtier cartonné; les textes sont imprimés sur papier calque et recouvrent l’image qu’ils complètent. Je reprends ici mon texte original en italien, à l’époque très gentiment corrigé par Daniela (merci à elle).
1.
Ti scrivo di un paese lontano.
Ti scrivo della diga che si era insabbiata. Ti scrivo del focolaio dentro il vecchio bosco ingombrato di legno morto – per attraversare la nuvola dell’incomprensione. Ti scrivo col peso di un paese in mani, leggerissime.
Ti scrivo della ballata di un viaggiatore sconosciuto, uno straniero come tutti mi chiamavano. Intorno alla palma, il Tempo stava ribollendo. Ha innalzato capanne a specchi nei boschi segreti che ha aperto anni fa.
Ti ho cercato oltre le fabbriche collaudate del ricordo. Ho ritrovato la tua presenza arbitraria, nelle profondità dove le immagini non si rivelavano più. Al di là, di questi gesti, un’acqua canterina scorre tra le foglie. Je t’écris de la Jetée.
Questa è la storia di un uomo segnato da un’immagine dell’infanzia.
2.
Treno di notte, fine giugno 1993.
Lasciata la stazione di Schaerbeek venerdi sera. Ore passate alla finestra del corridoio, che ancora si apre negli anni ‘90. Notte, disteso, a guardare l’Europa spiegarsi fra le finestrine : le frontiere, i graffiti argentati nella stazione di Basel che parlano di Dare, Rise, Show. Fiamme sulle ciminiere della petrolchimica nella pianura lontana. Ferrovia lungo il lago, si riflette la luna sui pesci di mercurio, come in questo vagone nel ritorno di Savannah anni dopo. Il Gran Caffè di Domodossola alla fine della notte. Binari deserti, la stazione è muta e calda. Le stelle sono dietro l’orizzonte adesso, un uomo beve alla fontana mentre il treno riparte, chiamate incomprensibili. Il rumore dei freni, il ritmo della ferrovia. In una notte sono entrato nell’estate.
L’alba blu.
Poi Milano.
3.
Dal primo minuto, il calore, il calore e la luce. Calore da rendere cieco, luce che soffoca. Un sole che schiaccia tutto, finchè i rumori. La città intera sta dormendo nel pomeriggio, a parte me, che cammino nelle strade vuote. Non si verifica mai un caldo cosi a colpire la mia città, allora giro in circoli intorno al parco e alla spiaggia. Bruciandomi la mano toccando la ringhiera di metallo, le pagine bianche del libro incendiano gli occhi. Cercando ombra, e subito dopo cercando il sole. Lucertole ferme, solo le farfalle ballano. Ebbrezza della luce, a occhi chiusi.
Prigioniero del bruciore blu che infiamma l’orizzonte a perdita d’occhio.
4.
Sono pochissimi ancora i luoghi della sera in un paese diverso, all’età di 14 anni. Ci vorrebbero ancora due anni per abituarsi alla birra, poi la lingua è fortezza abbastanza custodita.
C’è il parco e c’è il molo e c’è il pattinaggio. Si prova, ma è più complesso che lo skate. Si poltrisce dietro l’inferriata, si incontrano altri giovani, si sorveglia il fratello. Si socializza e si prova a parlare italiano, gli altri giovani sono curiosi del posto da dove vengo. Stupore della curiosità reciproca, si risente per la prima volta dell’esotismo del Nord e del piano, del francese per chi abita al vento delle apuane. Non ci si accorge ancora dell’etichetta di turista che deve incollarsi un bel po’ sul dorso.
Al pattinaggio ci sono ragazzi dietro la ringhiera, e ragazze abili che corrono sul marmo. Hanno la mia età, pare, e c’è quella con la maglia bianca e gli shorts che perde la mano dell’amica, vola, cade sulla pancia nel colpo secco delle rotelle, e rimane alcuni attimi stonata a terra.
5.
La ragazza si riprende, si avvicina a me, guancie rosse, e mi sgrida. Linguaggio diverso, non lo capisco, non conosco neanche le parole per rispondere che non capisco. Ci vuole alla parola una riva dalla quale lanciarsi. Prima che possa costruirmi frase traballante, la ragazza è già ripartita a girare con l’amica e non mi rivolge più nessuno sguardo.
Avevo sorriso o l’avevo guardata di traverso, chissà ? Disagio, dispiacere, vergogna. Mi dico che decisamente, anche senza parlare, non riesco a farmi capire. Ci vorranno alcuni giorni prima di ritornare, e se qualcuno cade, guarderò altrove.
6.
Le giornate passate soprattutto a visitare le cave sopra Carrara e Pietrasanta. Si raggiungevano in macchina, con una bella paura a volte quando si incrociava un camion caricato della montagna sul sentiero.
Un fiume di latte correndo attraverso un paesino, immagine potente, solo le bici arrugginite si vivono. Davanti alla sezione del PCI, vecchi partigiani bevono l’amaro. Li operai in un laboratorio bianco di polvere trovano, tagliando un pezzo di marmo, un cristallo di rocca e lo regalano al ragazzo straniero che ne rimane incantato – il dente del monte tiene nella mano leggera. Sensazione, di fronte al calcare tagliato in geometria, di camminare dentro una gemma gigante – la rocca madre. Poi, il sole sul marmo bianco, rende cieco e brucia all’interno. Purificazione, si è scoperta la fabbrica dell’eternità.
7.
Ci si accorge che le notti sono già più lunghe, fa buio quando si esce. È fine luglio, fra un paio di giorni si riparte per Milano, e non c’è voglia di pensare dove il treno ci riporterà. Rivedo la ragazza, chiacchieriamo intorno al pattinaggio, si chiama Elisa che per me è nome esotico – non si ascolta ancora Gainsbourg. È con un’amica, una certa Sara. Ci capiamo a sorrisi. Non fa il legame col ragazzo che lei ha sgridato, o allora lo fa e se ne infischia – sollievo.
Ci vorrebbe ritornare ogni sera, ma le serate si fanno coi genitori, a Firenze, Bologna o Parma, o nel treno che ritorna sul lungomare da Genova. Mia sorella ha i suoi amici e balla da sola, la sera al pattinaggio, allora le chiedo, se vede la ragazza con cui chiacchieravo, che ne prenda l’indirizzo. Riviene con l’indirizzo di una certa Sara, casualità. Rifaccio il giro l’ultima sera, e per caso sono là. Ci capiamo più o meno – si impara l’italiano a stento, e ci scambiamo gli indirizzi con Elisa.
8.
A Bruxelles, scrivo lettere ascoltando cassette, NTM e Thelonious Monk. Disegni, all’epoca potevano solo essere graffiti, o mostri alla Druillet appena scoperto, e melmosi. La tavola coi pennelli, il materasso in terra ai piedi del muro delle finestre senza tende, si vedono le stelle mentre ci si addormenta o il cielo viola quando nevica di notte. Chissà di che parlavano le lettere, nei primi anni novanta : della scuola, delle prove con lo skateboard (abbandonato subito dopo), di dipingere muri di notte, della rivista alla casa della gioventù dietro l’angolo, dei genitori che sono come tutti insopportabili, della musica, della prossima estate ?
In autunno ricevo una busta da Massa, i francobolli sono in lire, centinaie di lire raffiguranti castelli. C’è questa parola « casino » alla fine che non ha senso quando la cerco nel dizionario. Parole a pennarelli di colore diverso su carta per lettere elegante. C’è l’appuntamento per l’estate prossima, ci vorranno ancora un bel po’ di esami e pioggia e libri per arrivarci. Il Tempo pare insabbiato, scopro Bradbury e Kieslowski, Spike Lee e il primo concerto da solo al Botanique.
9.
In giugno, dopo mesi di silenzio, le scrivo una lettera dicendo che arrivo – chissà se è partita ? Non ho ancora creato una scattola di consegna delle lettere scritte e mai spedite.
Luglio 1994, ritrovo via Esperanto. Alla fine della strada c’è una scuola e non ne me rendo conto – la memoria di questa strada è sfuggente in questa direzione. Vicino, c’è il parco Olivetti in cui giochiamo a ping pong. C’è la passaggiata sul Lungofrigido, coi monti all’orizzonte che si prova ad afferrare. Si è conquistata un pochino d’indipendenza in più. Un luglio di pace, col gatto dei vicini intorno che chiamano Prezzemolo. Si recupera la propria ombra dell’anno scorso sull’asfalto bruciante, e le orme.
10.
La prima sera, faccio un giro nel parco, e una pizza al taglio (esotismo. Non esiste nella mia città) con la bibita nella lattina nera a stella gialla. C’è già la bancarella di libri che mi pare grandissima, mi compro il libro di Gandhi e uno su Escher e tutto è esotico, i prezzi in migliaie di lire, le canzoni di Jovanotti o Paolo Conte, le zanzare in squadriglie, tutte le famiglie a prendere aria, i gelati all’angolo della strada Don Sturzo, le vecchie a guardare il mundiale di calcio sul terrazzo del caffè dell’altro angolo e a gridare. Proprio là in mezzo alla strada incontro Elisa. Lei mi riconosce subito, da lontano, sorrisi grandi, sorpreso ; probabilmente ancora più difficile capirsi dopo un anno fuori dall’Italia. Il latino forse aiuta un po’, o forse ingarbuglia. Ma ricordo che proviamo, e ci diamo appuntamento al pattinaggio per i prossimi giorni.
11.
Le giornate, il mio posto dietro l’angolo del giardino a casa, un muro nell’ombra di un albero grande che adesso non esiste più – un pino, e il vecchio padrone di casa mi mostra come recuperare i pinoli che si mangiano e lasciano una polvere carboniosa sulle dita. Si vede di là il lungofrigido. Ore passate a leggere, a volte lo stesso libro, ancora, di Vian. Bestie che non esistono nel mio paese, lucertole, grilli, scarafaggi cornuti. Quando suonerò al campanello nel 2011, la padrona mi farà il caffè e mi dirà, sorridendo, di avermi guardato dalla finestra all’epoca. Perfino gli uccelli che cantano differentemente. Le erbe secche profumano diversamente nel sole, e dappertutto la resina calda che mi fa da aeroplano per ripensare a queste ore, ovunque la sento. Le case dipinte ocra o rosa, colore come acqua inebriante che pare scorrere in ogni strada.
È solo un albero, solo un muro e un vicolo, solo l’ombra del pino, ma si scolpiscono per anni nello spazio interiore, quello del bosco senza sentieri.
12.
C’è la voglia di incontrare Elisa, e poi ci sono il diffidare di sè, la timidezza di suonare al campanello, e il muro della lingua che pare così impraticabile adesso che ne sono ai piedi. Si vede da lontano, con le amiche sul molo, e non oso raggiungerla.
Più tardi, ore o giorni, si incrocia in via Don Sturzo, si saluta e si chiacchiera un po’. È l’età in cui i ragazzi che sono lì intorno aggrottano le sopracciglia, in cui le amiche ridacchiano dietro. Un po’ di disagio, certamente, ma chi è, da dove viene questo straniero che massacra l’italiano ?
Il gruppo la aspetta, e probabilmente dovrà spiegarsi dopo qualche metro. Si imparano così regole della vita sociale della piccola città del mediterraneo – si vedranno anni dopo in Spagna gli stessi sguardi. Si capisce che sotto i sorrisi così simili di due città del continente, le radici sono abbastanza diverse. La vita fredda all’ombra della torre d’argento non è quella dei bagni nell’orizzonte buio del mare a mezzanotte.
13.
Giorni dopo, la rivedo allo stesso posto, con gli amici, forse gli stessi, forse altri. Non mi riconosce o forse allunga il passo con l’amica, probabilmente perchè gli altri ragazzi camminano dietro. Chissà chi sono, amici, fratelli, fidanzato forse, in ogni caso meglio non bisticciare. Sono i primi anni da teenager e ognuno li gestisce come può. Lo spazzio ridotto fra l’ombra e la soglia non basta a lanciarsi.
Si incontrano altri giovani al pattinaggio. Negli altoparlanti ci sono Haddaway e Ace of Base e tutta l’eurodance degli anni ‘90. Dietro c’è la chiesa nel buio, nella strada c’è una casa della parrocchia dove si trova una scatolina rossa di balsamo di tigre affascinante – ancora oggi sullo scaffale della biblioteca di casa.
14.
I ricordi fanno spesso una ballata a due, nella memoria. Così si appogiano l’uno su l’altro per non diluirsi nell’acqua fredda del tempo. E non importa se forse il cervello ti salda memorie di tempi diversi, come si accorge a volte quando le scavi anni dopo.
La stessa sera allora, forse ? vado a guardare le stelle sulla diga di pietre, scivolo sugli scogli bagnati e cado. Mi faccio un male cane, il piede tagliato attraverso il pantalone, e perdo sangue. Serata da rientrare a leggere in stanza, e da farsi brontolare dai genitori : a che ora rientri ? Non siamo un albergo ! Ma che è successo al piede ? E si estese la luna sulla notte calda.
15.
Memoria così nitida, è il mio compleanno, quindici anni, allora vado a vedere un film al cinema Stella Azzurra. C’è Blade Runner, di cui ho letto qualcosa. Ne rimango stupito, uno sciocco visuale (non ne capisco la metà – non parlo ancora l’inglese, o era doppiato in italiano ? lo stesso). La linea generale la capirò anni dopo leggendo il libro di Ph.K.Dick poi rivedendolo.
Il programma del cinema di questo luglio lo ritrovo poco fa in una scatola polverosa (c’era un disegno dietro) e non dice la stessa storia. Allora l’ho visto nel 1993 e la memoria mi ha saldato due memorie distinte. O il programmo era cambiato. O l’ho visto a fine giugno.
Rimarrà un momento perso nel tempo come lacrime sotto la pioggia. Ma mi piace la menzogna della memoria, che è molto bella.
16.
Uscendo dal cinema coi attack ships on fire off the shoulder of Orion nei occhi, dalla via Sturzo, vedo Elisa che gioca, annoiata, con una palla sotto la palma del giardino. Mi saluta, mi sorride, si avvicina alla ringhiera e chiacchieriamo timidamente e non ci sono amici a ridacchiare o aggrottare le sopracciglia.
Parlo del cinema, del film, del programma. Fra qualche giorno ci sarà Rouge di Kieslowski che ho visto tre volte a Bruxelles. Inciampiamo sulle parole, come si dice rouge ? che dici ? e provo a spiegarle un colore, non funziona. Disagio, ma ci sono i sorrisi e bastano a non scappare.
Questa chiacchierata dura un po’, ognuno dal suo lato del muretto, nel buio, e questo significa che riusciamo a capirsi. C’è la prova, c’è il sorriso, e non c’è piu la noia ne i replicants. E c’è il bel gesto della mano che germoglia quando alla fine mi saluta fra le barre dell’inferriata. Si fa amicizia, questa sera, e questo vale di più che il programma dell’undici luglio al cinema accanto.
17.
Anni dopo, è il 2014 adesso, si avvicina alla fine del molo. Settimana a Vicopisano, Daniele non c’è ma non c’è bisogno di chiave a casa sua. La sera del volo, il dito del piede si è rotto, ospedale di notte. A Pisa la mattina mi è difficile camminare, ma seguo tanto che posso gli amici, Masso delle Fanciulle, Buti, Fiano ancora, teatro su una rocca nel vento, gli anelli di Saturno. Scopro Calafuria, con Rita e Laura. Là mi riviene un ricordo perso del ‘94 sotto la palma. Ti avevo chiesto se ci saremmo visti al mare accanto nei prossimi giorni, mi avevi risposto di andare in un posto più lontano, con gli scogli. Me ne ero fatto un’immagine mentale, alla quale Calafuria somiglia un sacco (chissà dove erà in realta). Il ricordo riviene pristinato, e forte, decine di anni dopo.
Mentre le amiche leggono e dormono, a occhi chiusi vedo la ragazza del ‘94 che si bagna nella cala. Disegno il posto e il momento a pastelli, fantastisco all’ombra di una palma mentale. Che non basta a schivarmi una bella scottatura. Si soffre in viaggio, quest’anno.
18.
Ci riparliamo varie volte, però le immagini sono più diluiti. Ti trovavo una bella sicurezza all’epoca, forse un po’ studiata – è dovuto alla nostra età. Al pattinaggio, mi spieghi che Sara dell’anno scorso è con i genitori più in alto (in montagna o al Nord ? non capisco e non chiedo).
Arriva la fine di luglio, riparto fra poco. Mi ritrovo (come ?) invitato a casa. Il ricordo è preciso : nella tua stanza, primo piano, luce gialla, è sera, c’è un lampadario dietro la porta-finestra del salotto. Sorridi, al muro, un quaderno di Mordillo sul circo. Il padre guarda i miei disegni o forse foto dei miei graffiti (ma le ho con me ?) e mi fa dei complimenti. Mi parla a volte in francese, non so come rispondere. Chiedo se ha una foto da darmi, il padre va accanto a cercarne una.
Ci salutiamo e riparto con la foto, ci rivedremo l’anno prossimo sicuramente, mi riporti fino alla porta del giardino. E poi fra un anno torneremo sedici e sarà ganzo visitare l’amica italiana (non mi sono accorto per niente che non abbiamo la stessa età).
19.
Sulla foto (da studio, pare) tu porti la tua sorella, che non ho visto questa sera. Sorridi con questo sguardo un po’ triste. C’è la maglia degli anni ‘80, è inverno, e la frangia.
Nel 2018 tornerò in questa casa come si rileggono vecchi quaderni, con cura e la memoria a fior di pelle – e l’impressione acuta di un momento vissuto due volte. Sull’armadio del corridoio, una foto della stessa serie, simile ma col sorriso schietto. Come se due scatti identici si fossero modificati diversamente nel corso di vent’anni.
La foto mi sarà per venti-tre anni la tua imagine, perchè dopo il ritorno, i genitori decidono di non tornare in Toscana. Sono 15 anni e non è a portata di mano di viaggiare da solo, di pagarmi aereo o albergo. Scrivo una lettera, forse ci vediamo fra due anni ? – un’eternità alla nostra età. La foto va consegnata in una busta coll’indirizzo scritto nel ’93, e va sistemata con i biglietti dei concerti e le cartoline in queste scatole che di tanto in tanto si scavano per ripercorrere momenti belli e brutti, e sentire battere sotto il mare del tempo le porte rimaste aperte.
20.
Ritorno regolarmente in Italia negli anni successivi. Venezia, visitare la sorella a Roma Ostiense nel ‘96. Poi Verona, Sicilia, col fratello a Torino, Padova. Incontro Daniele nel gelo di dicembre 2001 a Bruxelles e gli faccio visita regolarmente a San Casciano, Monteroni d’Arbia, Fiano, Montieri. Studio l’idea di tornare a Massa, ma è lontano senza macchina. Parecchie ore e pulman e treni per arrivare là, e nessun modo di tornare a Fiano dopo.
Anni di militanza. Nel 2011, Daniele si è spostato per la compagna più vicino alla città, a Vicopisano, di là mi do appuntamento con un ragazzo di un collettivo di Carrara, via un altro militante italiano a Parigi, con l’idea di passare a Massa se riesco. Mi porta a incontrare un partigiano, e sui gradini della chiesa di Massa per un convegno. Dormo a casa sua e riesco a svignarmela col pulman della stazione Massa Centrale e tornare a Marina. Pare che non ci sarà un autobus di ritorno alle fine del pomeriggio (infatti si), proverò l’autostop – è troppo vicino il pattinaggio di via Don Sturzo adesso per tornare indietro.
21.
Giro per due ore nelle orme del ‘94, decine di foto. Tutto pare ristretto e disboscato. Suono alla vecchia padrona di casa che mi riconosce. Mi fa il caffè e mi parla delle visite del fantasma di suo marito – e sorride.
Il cinema, il pattinaggio scomparso. Si ritrova la palma. Si gira prima di suonare al portello : ho vestiti punky, e se c’è Elisa ci saranno forse bimbi, casalinga, marito, chissà che sarà infatti ? forse più nessun Bresciani. Infine oso, sperando che non ci sia nessuno e che potrò lasciare solo una nota nella cassetta delle lettere.
Il padre apre. Elisa non c’è, si sposa fra due giorni. Posso rivenire stasera ? no, ho l’aereo domani. Quasi cadevo nel bel mezzo del matrimonio, e sarei scappato. Il padre si ricorda dei miei disegni attaccati al muro della stanza per alcuni anni. La madre guarda dal terrazzino. Auguri per il matrimonio, riparto, pullman, ferrovia, gli accumuli di marmo, le apuane, i cartelli delle stazioni che rinviano a un’altra vita. La porta batte sotto la palma, ma sono andato lontano quanto potevo.
22.
Cambio lavoro, salto qualche anno senza vedere Daniele. Quando sono in Italia, ci sto per pochissimi giorni e spesso quasi all’improvviso. Anni in cui le scatole non vanno riaperte e dormono felici nel soffitto della casa dei genitori. Si ritrova traccia della ragazza di Massa, ma è lei ? Provo. Pare che si ricordi di me. Le prossime volte proveremo a fissare un appuntamento per un caffè.
C’è l’anno in cui lavora in un rifugio e non riceve la mia e-mail di Firenze in tempo.
C’è l’anno in cui stava per partorire, sto con Rafael, mi invia una foto di una Nina appena nata all’ospedale e mi risponde : ci vediamo domani ? Meglio rimandare all’anno prossimo, scrivo. Così i vari tentativi falliti sostengono i seguenti. E ci sono state varie vite, forse, nel frattempo.
Nell’estate 2017 tornerò, fra Daniele e San Giovanni alla Vena, rinvierò un messaggino. L’ultimo forse se non si sistema ancora, non mi va di essere così insistente.
23.
23 anni dopo lo sguardo arrabbiato al pattinaggio. Si scende della collina di San Giovanni alla Vena per l’aperitivo. L’Ortaccio è ancora abbastanza deserto, le vecchie giocano a carte. La barista bionda che mi riconosce da un anno all’altro, lo Spritz che dalla scoperta a Padova nel ‘07 è però divenuto comune fino al Belgio. Il libro di Michaux sul viaggio nel paese della magia e la maglia dei Fuzztones appena visti in concerto. Sono le sei.
Mi suona un messaggino : Sono all’Ortaccio. Ti aspetto.
Rafael disegna alieni in tavola sotto l’albero, io vado verso il cancello, si vede la chiesa dall’altra parte della piazza, e davanti c’è una ragazza, e non ho dubbi che sia quella che aspettavo.
Sorrisi.
Ci capiremo.
Bruxelles, febbraio – maggio 2019


























